Esegesi e Filosofia

I massimi risultati della speculazione sviluppata dalla Scuola Dantesca Lunigianese fondata dal CLSD sono qui di seguito riassunti.

1 – DANTISTICA

ALLEGORIE DEI PERSONAGGI E STRUTTURA DEL VIAGGIO

Il “VELTRO ALLEGORICO” può essere individuato soltanto nella stessa Divina Commedia in quanto messaggera di un nuovo sistema di pensiero sapienziale in cui Cristianesimo, Neoplatonismo e Aristotelismo vengono risolti in un nuovo sincretismo universale. nessun essere umano potrebbe mai farsi rappresentativo delle enormi valenze che questa figura di liberatore assoluto deve necessariamente incorporare in sé. Il Poema Sacro, messaggero di una poetica formidabile posta al servizio di un preciso progetto etico-morale di Pace Universale, da cui derivano direttamente il concetto umanistico di Buon Governo e quello rinascimentale di Città Ideale, avrebbe portato «per ogne villa», di città in città – quasi casa per casa – ed anche nei luoghi più umili («di feltro in feltro»), un’occasione nuova e potentissima di generale elevazione. Perciò Dante volle che tale messaggio fosse realizzato in lingua volgare, affinché potesse essere compreso dall’intera umanità: «anche dalle femminette», come dice espressamente nell’Epistola a Can Grande).

[M. Manuguerra, Nova Lectura Dantis, La Spezia, Luna Editore, 1996, pp. 58-61; cfr. scheda bibliografica di M. Cursietti su «L’Alighieri», 10 (1997), p 118]

La tesi è stata indirettamente accreditata da E. Malato [Un’eco virgiliana nel Proemio della Commedia. Chiosa a Inf. I 106, in «Rivista di Studi Danteschi», 2 (2004), pp. 257-85; Saggio di un nuovo commento a Dante: il Canto I dell’Inferno, in «Rivista di Studi Danteschi», I (2007), pp. 3-72, alle pp. 48-53]. Ulteriori argomenti a favore della tesi sono rappresentati dagli elementi di teoria del linguaggio sviluppati da in modo del tutto indipendente da Giuseppe Ledda [La guerra della lingua. Ineffabilità, retorica e narrativa nella ‘Commedia’ di Dante, Ravenna, Longo, 2002] e da Alessandro Raffi [La gloria del volgare – Ontologia e semiotica in Dante dal ‘Convivio’ al ‘De vulgari eloquentia’, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2004].

– Le tre Cantiche del Poema sono espressioni di altrettanti Valori Universali neoplatonici e ciascuna Cantica è associata ad una delle tre Sante Donne:

Inferno-Giustizia-S. Lucia: “Lucia, nimica di ciascun crudele” (Inf II 100).

Purgatorio-Amore-Beatrice: “vegno dal loco ove tornar dìsio,/ Amor mi mosse, che mi fa parlare” (Inf II 71-2).

Paradiso-Poesia-SS. Vergine: “Donna, se’ tanto grande e tanto vali/che qual vuol grazia/e a te non ricorre/sua disianza vuol volar sanz’ali“, Par XXII 13-5.

[M. Manuguerra, Nova Lectura Dantis, La Spezia, Luna Editore, 1996; Via Dantis, La Spezia, Edizioni del CLSD, 2009]

Il Viaggio neoplatonico di Dante si perfeziona attraverso la dicotomia |Virgilio/Ragione – Caronte/Pazzia|. Il conseguente “Folle volo” di Ulisse si realizza nel sempiterno “Folle consiglio” di Caronte, da cui si origina nella traccia di una Poetica del Volo che attraversa l’intero Poema, passando attraverso l’Angelo Nocchiero, fino alla Vergine Maria.

[M. Manuguerra, L’ultimo inganno di Ulisse: una poetica neoplatonica quale primo livello esoterico della Divina Commedia, su «Atrium», X/3 (2008), pp. 71-104].

[M. Manuguerra, Nova Lectura Dantis, La Spezia, Luna Editore, 1996]

Esiste un’Etica del Pellegrinaggio da cui origina la contrapposizione assoluta |Dante – Ulisse|.

[M. Manuguerra, Il tema del ‘Pellegrino’ nella Divina Commedia, su  «Il Lunigianese», gennaio 1999, p. 6]

DATAZIONE DEL VIAGGIO E LA FISICA DI DANTE

La datazione del Viaggio della Commedia (che dura sette giorni) è fissata al giorno 4 APRILE DEL 1300, affinché il giorno di Pasqua (10 aprile) valga a sancire,  con la visio Dei al termine del Poema, la suprema coincidenza tra trionfo dell’Uomo e trionfo di Dio. E’ assurdo che nel poema massimo della cristianità la Pasqua sia festeggiata in Inferno o in Purgatorio, o manchi del tutto come nel caso dell’uscita dalla selva il 25 di marzo. Il Viaggio della Commedia coincide dunque con la Settimana Santa del 1300. Che l’anno sia inequivocabilmente il 1300 è dimostrato dall’accostamento del “Termine galantiano” (v. “Dante e la Lunigiana”) agli Atti della Pace di Castelnuovo: se Dante era con certezza in Lunigiana nel 1306, andando a ritroso rispetto ai sei tramonti già compiuti della costellazione dell’Ariete su quella del Toro (profezia astronomica in chiusura di Pur VIII), ci si ferma indiscutibilmente alla primavera del principio di secolo. Non possono essere ammesse altre datazioni.

[M. Manuguerra, Una soluzione teologico-astronomica coerente per l’enigma della datazione del Viaggio nella Commedia, su «L’Alighieri», 21 (2003), pp. 109-114. cfr. scheda bibliografica L. Tarallo, «Rivista di Studi Danteschi», V/2 (2005), II, pp. 125-126. In precedenza: Id, La fisica di Dante e l’enigma astronomico della datazione del Viaggio nella Divina Commedia, in Atti del XVII Congresso Nazionale di Storia della Fisica e dell’Astronomia, C.N.R. – Commissione di Studio per la Storia della Fisica e dell’Astronomia, Como, Centro Volta – Villa Olmo, 23-24 maggio 1997, Università degli Studi di Milano, 1998, pp. 331-340]

DANTE E LA MODERNITA’

– La nascita effettiva della Modernità con la Divina Commedia è dimostrata dalla identità del Neoplatonismo dantesco con quello maturo rinascimentale del Raffaello della Stanza delle Segnature (cfr. G. Reale, Raffaello: la Scuola di Atene, 1997 e Raffaello: la Disputa, 1998). Il tutto passa attarverso il tema del Buon Governo degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti (“Effetti del Buon e Cattivo Governo in Città e in Campagna”, Siena, Palazzo del Popolo) e il tema urbinate della “Città Ideale” della scuola di Piero della Francesca. nella Disputa di raffaello di riconosce sullo sfondo il cantiere della Città Ideale e la figura angelicata in primo piano è riconoscibile come l’Uomo Nuovo, presente anche nella “Scuola di Atene”.

[M. Manuguerra, Dante, Raffaello e la modernità, su «Atrium – Studi Metafisici e Umanistici», XIV/3 (2012), pp. 57-92]

DANTE A PARIGI

Ricostruendo i tratti fondamentali del passo di Pur III “Da Lerice a Turbia” si è scoperto che la geografia ligure di Dante è tutta strutturata sulla Tabula Peutingeriana, un carta militare romano-imperiale di oltre un millennio prima. Analizzando tutti i riferimenti presenti nell’opera omnia e facendo tesoro di tutto quanti riportato dagli antichi commentatori e dai cronisti dell’epoca, il viaggio a Parigi di Dante, partito dalla Lunigiana a seguito dei Cardinali mossi alla volta del conclave francese del 1314, diviene un elemento praticamente certo della Vita di Dante.

[M. Manuguerra, Sul viaggio di Dante a Parigi, su «Atrium – Studi Metafisici e Umanistici», XIX/3 (2017), pp. 134-158]

DANTE E GIOTTO

L’impronta di Dante nel Giotto della Cappella degli Scrovegni è innegabile, tanto da far decisamente pensare all’appartenenza di entrambi i geni, in qualità di sommi maestri, a quella scuola ermetica indicata da molti come dei “FEDELI D’AMORE”. Anche la pittura di Giotto si rivela allegorica e la presenza a Padova di Pietro d’Abano, grande grecista del tempo, apre alla possibilità di un forte ammaestramento di Dante intorno ai poemi omerici.

[M. Manuguerra, Dante e Giotto, su «Atrium», xx (2018), n. 4, pp. 39-70]

SAN FRANCESCO “TERZO SOLE” NELLA DIVINA COMMEDIA

Annunciata nel 2021 nel corso di una conferenza tenuta dal presidente CLSD al congresso dantesco organizzato in Roma dall’Università Pontificia ‘Regina Apostolorum’ nel quadro delle attività di “Dante ‘700” (Atti in corso di pubblicazione), la tesi muove dal tema del “nuovo Sole” annunciato al v. 50 del Canto XI del Paradiso. In quel passo, infatti, il Sommo Poeta dice che «nacque al mondo un sole». Il fatto è che quando Dante scrive questo verso, di “Soli” nella Divina Commedia ce ne sono già due: il Papa e l’Imperatore, come si evince sia dalla struttura allegorica del Canto VIII del Purgatorio (il “Canto lunigianese per eccellenza”), sia dalla esplicita ammissione che il poeta fa nel successivo Pur XVI (il cinquantesimo dei cento Canti del poema, perciò il centro, il cuore dell’opera). Quale può essere mai, allora, il significato di questo terzo astro sfuggito a sette secoli di esegesi e posto addirittura al centro della filosofia della Pax Dantis, tra i due pontifices maximi? Il prof. Carmelo Pandolfi, ordinario di Filosofia Medievale presso la stessa Università Pontificia ‘Regina Apostolorum’ – chiamato dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi a pronunciarsi in merito alla validità generale della tesi nell’aprile del 2023 in occasione di una giornata di studi appositamente organizzata presso il ‘Museo ‘Casa di Dante in Lunigiana’ a Mulazzo – ha dimostrato la piena necessità teologica nella Divina Commedia di una triade anche a proposito dell’impianto politico del poema in forza della dottrina di quel grande Dottore della Chiesa che è stato Bonaventura da Bagnoregio (peraltro, fatto molto significativo, estensore della Legenda Maior del santo Francesco). La Divina Commedia, infatti, interamente strutturata sulla simmetria del Tre, non poteva mancare di proporre anche una Terna politica che – nella concezione Sacra del restaurato Impero Romano – facesse da equivalente in Terra alla Trinità Celeste nel quadro del Buon Governo del Mondo. Pare, dunque, chiaro che il “terzo Sole” debba essere identificato nello Spirito Francescano, una specifica valenza etica invocata da Dante a far da collante – da “energia di legame” – tra il Papa e l’Imperatore affinché entrambi non cadessero nelle spire nefaste della corruzione. In altri termini, per l’Alighieri lo Spirito di Sobrietà (così deve essere interpretata in senso sapienziale la “Povertà” di Francesco) avrebbe dovuto rappresentare un’azione di controllo sui due supremi responsabili della Pace nel Mondo.

[M. Manuguerra, “Nacque al mondo un sole” (Par XI 50): San Francesco e gli 800 anni del Presepe (1223-2023), su Magazine, La Spezia, Italia per Voi, nov-dic 2023]

DANTE E LA LUNIGIANA

– La scoperta del termine ‘ad quem‘ della venuta di Dante in Lunigiana ad opera di Livio Galanti (1965) deve essere accolta come uno dei risultati più grandi in ordine al secolare commento del Canto VIII del Purgatorio. Il “Termine galantiano”, se accostato agli Atti della Pace di Castelnuovo,  dimostrare in modo inconfutabile che il Viaggio della Commedia è ambientato nell’anno 1300. Non possono essere ammesse altre datazioni.

[M. Manuguerra, Lunigiana Dantesca, La Spezia, Edizioni  CLSD, 2006]

La concezione dantesca della Filosofia di Pace Universale (Pax Dantis) nasce in Lunigiana sull’esperienza della Pace di Castelnuovo (6 ottobre 1306). Infatti l’enigma secolare dei due angeli e del serpente in Pur VIII è interpretabile come allegoria introduttiva del tema dei due Soli di Pur XVI (il Papa e l’Imperatore). La tesi è stata dimostrata dalla scoperta (Dolcini, 2003) di una straordinaria parafrasi delle Variae di Cassiodoro del Preambolo degli Atti della Pace di Castelnuovo, subito interpretata come la prima espressione di un pensiero compiutamente politico in Dante ad oggi conosciuta: se questo è vero, allora quando Dante venne in Lunigiana non aveva ancora in mente una idea politica del poema nascente. Ciò significa, per l’appunto, che la Divina Commedia come noi la conosciamo è frutto dell’esperienza diplomatica maturata da Dante, al servizio dei Malaspina, in Val di Magra.

[M. Manuguerra, Il Canto VIII del Purgatorio (o l’inno di Dante alla Pace Universale), in Id, Lunigiana Dantesca, La Spezia, Edizioni  CLSD, 2006, pp. 71-97; L’esoterismo allegorico del Canto VIII del Purgatorio e il modello dantesco della Pace Universale, su “Atrium – Studi Metafisici e Umanistici”, XI/1 (2009), pp. 57-92; Dante e la Pace Universale: Il Canto VIII del Purgatorio e altre questioni dantesche, Aracne Editrice, Roma 2020]

La migliore denominazione della cosiddetta “Valletta dei Principi” è Nobile Valletta: Corrado e Nino Visconti non sono “Principi”, ma grandi feudatari. Immediato e naturale si fa così il collegamento con il “Nobile Castello” di Inf  IV, ove si riconosce l’elemento comune della Speranza nel verde salvifico del <<prato di fresca verdura>>: per gli abitanti del Limbo esiste un futuro, in quanto “sospesi” non per tipologia di pena, ma nel Giudizio. Le sette cerchia di mura valgono a proteggere quel dominio dagli uffici infernali in attesa di salire, <<quando che sia, a le beate genti>>.

[M. Manuguerra, Il Canto VIII del Purgatorio (o l’inno di Dante alla Pace Universale), in Id, Lunigiana Dantesca, La Spezia, Edizioni  CLSD, 2006, pp. 71-97; L’esoterismo allegorico del Canto VIII del Purgatorio e il modello dantesco della Pace Universale, su “Atrium – Studi Metafisici e Umanistici”, XI/1 (2009), pp. 57-92; Dante e la Pace Universale: Il Canto VIII del Purgatorio e altre questioni dantesche, Aracne Editrice, Roma 2020]

Nell’origine degli Stemmi malaspiniani le radici della Pax Dantis. I due stemmi dello Spino Secco e dello Spino Fiorito sono riconducibili alla poetica trobadorica, in particolare alla canzone La Treva (la Tregua) di Guilhem de la Tor. Selvaggia e Beatrice, le figlie dell’Antico, si contendono la palma di reginetta di virtù: quale sarebbe stata la “Donna”, cioè la Corte nascente, più virtuosa: la Marca dello “Spino Secco”, ghibellina, o l’altra, guelfa, dello “Spino Fiorito”? Venti fanciulle, nell’idealizzazione della canzone, provenienti da altrettante corti dell’Italia del Nord, accorrono a Oramala per porre fine alla tenzone: è il chiaro segno che i trobadour intervengono direttamente nella vexata quaestio tutta europea dell’acceso confronto tra guelfi e ghibellini cercando di portare ai Signori la giusta dose di Sapienza. Selvaggia e Beatrice, che erano sorelle, erano i soggetti migliori per idealizzare una pace che si voleva “naturale”. E’ così che la tregua sancita tra le due giovani Donne dall’arte del cantore trobadorico, novello Virgilio, si faceva profezia inconsapevole di una rinnovata Lieta Novella: la Pax Dantis. E in Pur VIII Dante non farà altro che sostituire le figure delle due fanciulle con i due splendidi «astor celestiali», tanto luminosi in volto da prefigurare i «due Soli» fatali del successivo Pur XVI. Sempre loro, naturalmente: il Papa e l’Imperatore.

[M. Manuguerra, La Sapienza dei Malaspina, su “Il Porticciolo”, VII/1 (2014), pp. 63-70; La Sapienza dei Malaspina, su “Quaderni Obertenghi”, 4 (2014), pp. 50-59; La Sapienza ermetica dei Malaspina, su “Atrium”, XVI/4 (2014), pp. 76-88; La Sapienza ermetica dei Malaspina: ulteriori considerazioni, su «Studi Lunigianesi», voll. XLIV-XLV, 2016, pp. 57-69]

L’Elogio ai Malaspina in Pur VIII è interamente strutturato sull’incipit della Divina Commedia.

«La vostra gente onrata […] sola va dritta e ‘l mal cammin dispregia». Se qualcuno pensa di poter interpertare diversamente l’Elogio che Dante rivolge a Corrado Malaspina il Giovane, marchese di Villafranca in Lunigiana nelle battute conclusive dell’VIII del Purgatorio, prego: si accomodi. Un simile Elogio (assoluto e insuperabile) rende idea pienamente della riconoscenza di Dante non certo per il pane ricevuto, ma per l’intuizione sublime della Pax Dantis e perciò della Divina Commedia così come noi la conosciamo.

[M. Manuguerra, Il Canto VIII del Purgatorio (o l’inno di Dante alla Pace Universale), in Id, Lunigiana Dantesca, La Spezia, Edizioni  CLSD, 2006, pp. 71-97; L’esoterismo allegorico del Canto VIII del Purgatorio e il modello dantesco della Pace Universale, su “Atrium – Studi Metafisici e Umanistici”, XI/1 (2009), pp. 57-92; Dante e la Pace Universale: Il Canto VIII del Purgatorio e altre questioni dantesche, Aracne Editrice, Roma 2020]

L’Elogio ai Malaspina possiede pure una spiccata valenza evangelica, poiché contiene un chiaro calco del Vangelo di Luca nel luogo dove si parla del pregio malaspiniano “della borsa e della spada”.

Luca 22,36: Ed egli soggiunse: “Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una”.

[S. Pagani, Ancora sull’Elogio ai Malaspina: gli elementi della Borsa e della Spada (Lc 22,35-38), “Lunigiana Dantesca” n. 184, maggio 2022, p. 30]

DATA PUNTUALE DELL’ARRIVO DI DANTE IN LUNIGIANA.

Nella risposta di Corrado il Giovane all’Elogio di Dante si cela il segreto della data puntuale di arrivo di Dante alla corte malaspiniana di Mulazzo. I maggior chiovi con cui a Dante sarà chiavata in mezzo de la testa la buona opinione dei Malaspina, sono elementi della Crocifissione che valgono a profetizzare le pene dell’esilio nel contesto della profezia del soggiorno lunigianese. Non esiste, infatti, sermone più forte dei chiodi della Croce. Dunque quei chiodi collegano, pur con le dovute proporzioni, la passione di Cristo alle sofferenze dell’esilio. E dato che la Croce vuol dire sempre Venerdì Santo e l’intero passo del Giovane è giusto strutturato sulla profezia dell’arrivo di Dante in terra malaspiniana, ecco che le parole di Corrado si fanno precisa indicazione di quell’arrivo: 1 aprile 1306. Questa data era stata solo ipotizzata da M. Manuguerra nei primi sei capitoli di un romanzo su Dante e la Lunigiana comparso su “Lunigiana Dantesca” dal n. 116 (aprile 2016) al n. 122 (ottobre 2016). Si noti come la risposta di Corrado sia perfettamente in linea con il contenuto evangelico già posto in evidenza dalla studiosa nel contributo illustrato in precedenza.

[S. Pagani, Sulla natura evangelica dell’Elogio assoluto di Dante ai Malaspina, su “Lunigiana Dantesca” n. 196, giugno 2023, pp. 33-34]

Con i due Angeli custodi di Pur VIII Dante si inserisce con forza decisiva nel dibattito secolare iniziato da san Papa Gelasio I (sec. V) e proseguito con Goffredo di Vendome (ca. 1070 – 1132) e Bernardo di Chiaravalle (1090 – 1153). Il poeta dimostra tutta la peculiarità del suo genio, parlando per la prima volta di un mondo come un’unica nazione. Dante annuncia un modello pacifico di unificazione del mondo (in seguito formalizzato nella Monarchia) rendendo tronche le spade dei due angeli guardiani di Pur VIII, evidente riferimento – onde non cadere in facili fraintendimenti – al passo evangelico di Luca 22, 35-38.

[M. Manuguerra, Postilla a “Il governo mondiale nella Laudato sii di Papa Francesco”, di Don Tommaso Forni, su “Lunigiana Dantesca” n. 135, dicembre 2017, p. 15]

E’ necessario l’uso della maiuscola su <<l’Antico>>, al v. 119 di Pur VIII.

Nell’aprile del 2024 è uscita l’edizione Lanza del Purgatorio dove, per la prima in otto secoli di edizioni, troviamo la maiuscola du “l’Antibo” in Pur VIII. Una istanza del CLSD avanzata fin dal 2006

[Manuguerra, M. La questione di Corrado “l’Antico”: una maiuscola di non trascurabile importanza, su «Il Porticciolo», II/1 (2009), pp. 35-7

SULLORIGINE DEVOZIONALE DEL  COGNOME MALASPINA.

Alla luce dell’Elogio assoluto dei Malaspina si rende necessaria una profonda rivalutazione del casato lunigianese. In effetti,  il cognome Malaspina, da sempre ritenuto infamante poiché sarebbe stato evocativo di antiche usurpazioni e ruberie, è in realtà frutto di un capolavoro diplomatico di Alberto l’Eponimo, il quale, in occasione della Pace di Lucca (1124) rinunciò ad incastellare il Monte Caprione, in bassa Val di Magra,  ottenendo in cambio il riconoscimento da parte del vescovo di un cognome di origine devozionale: la “malaspina”, infatti era l’erba spinosa con cui, secondo tradizione medievale, fu confezionata la corona di spine posta in capo a Gesù sulla Croce. Possiamo affermare tutto ciò perché il documento della Pace di Lucca è il primo luogo in cui si attesta il cognome Malaspina e perché quell’occasione non fu una resa, fu per l’appunto una pace, dunque l’Eponimo concesse qualcosa alla controparte vescovile ma certamente pretese di ricevere altro in cambio. E questo altro è  per l’appunto quel cognome capolavoro capace anche di incutere ad ogni interlocutore il giusto senso di rispetto. D’altra parte, se si fosse trattato veramente di un cognome infamante, Corrado il Giovane non avrebbe mai potuto dare il nome di Spina alla propria figlia.

[M. Manuguerra, Sull’origine del cognome Malaspina, in «Studi Lunigianesi», anni L-LI, 2020-2021, Edizioni dell’Associazione ‘Manfredo Giuliani’ per le Ricerche Storiche e Etnografiche della Lunigiana, Sarzana 2022, pp. 31-44]

L’Epistola di frate Ilaro è documento autentico copiato di proprio pugno dal Boccaccio per le sole parti che interessavano la memoria dantesca. L’unico elemento serio rimasto in mano agli avversatori era la dedica a Federigo III d’Aragona, ma da una attenta analisi di tutti i luoghi in cui nell’opera di Dante si fa il nome del sovrano l’unico che ha il peso dell’invettiva sono quelli relativi al Paradiso (XIX 130-131 e XX 61-63), quando cioè il poeta, per nulla impegnato dall’Epistola, poiché al tempo di quel documento i Canti della terza cantica non erano stati ancora licenziati) ebbe validi motivi per cambiare idea.

[M. Manuguerra, L’Epistola di frate Ilaro, Quaderni del CLSD, I, Ilmiolibro.it, 2013]

2 – FILOSOFIA

PACE UNIVERSALE: Unica via possibile per la Pace Universale è la Maledizione del Corporativismo, cioè di ogni forma di settarismo e di ideologismo: qualsiasi sistema di pensiero che non soddisfi al principio aureo di Fratellanza Universale (Fratellanza definita in senso Generale, Aprioristico e Incondizionato) è da considerarsi “fuori legge”. Un chiaro riferimento alla Fratellanza Universale dovrà essere dunque inserito all’Art. 1 delle Costituzioni italiana ed europea.

CONDANNA DEL RELATIVISMO: Se in Fisica le misure sono relative, qualcuno dovrebbe insegnare ai fisici, e pure ai filosofi, che proprio per questo le leggi della Natura sono uguali per tutti, qui, come ai confini dell’universo. Il Relativismo è una grande mistificazione: sono le Leggi, non le Misure, a stabilire la matrice della Realtà. Ci aveva già provato Zenone, di etnia non certo greca, ma senza particolari esiti, tanto che a fondamento del Rinascimento sta, gigantesca, la Scuola di Atene di Raffaello Sanzio ad impedire ai Sofisti l’ingresso al Tempio della Sapienza (è la scena in alto a sinistra dell’affresco). Con l’avvento della Teoria della Relatività (denominazione purtroppo assai imprecisa), non è parso vero ad alcune perfide categorie di poter imporre un credo nichilista per il perseguimento dei propri scopi. Clamorosamente, l’intero Occidente ci è cascato in pieno.

LA CITTA’ IDEALE: Per l’uso consolidato di applicare le leggi della Natura alle scienze umane, alla luce della critica del Relativismo qui sopra esposta, la domanda che si pone al Filosofo è la seguente: esiste nella Città dell’Uomo un equivalente dell’assoluto della velocità della luce in Fisica? La risposta è affermativa: l’assoluto necessario che sta alla base della Città Ideale è la Fratellanza Universale. Così come in Fisica, da qualsiasi punto di osservazione, pur nella distorsione delle misure, si ritrova sempre e comunque l’assoluto della costanza della velocità della luce, così nella città dell’Uomo un qualsiasi punto di vista corretto non può che condurre al risultato aureo della Fratellanza Generale tra gli uomini. Se una cultura non soddisfa a tale condizione, non è perché è relativo il mondo: è semplicemente sbagliata la cultura: Nazismo docet (ma non solo). La Città Ideale rappresenta, dunque, un modello di Società sorretta da un sistema di tipo Cooperazionistico, del tutto contrapposto all’attuale sistema sociale, ovunque imperante, di tipo Corporazionistico. Il crollo del Walhalla ne Il crepuscolo degli Dei di Richard Wagner è il primo (e supremo) esempio moderno di Critica del Corporativismo. Un’unica avvertenza necessaria (e non è certo colpa nostra): quando il CLSD si esprime in termini di “cooperazionismo”, non intende affatto dire che “la Coop sei tu”…

[M. Manuguerra, Da Dante a Kant e oltre: per una filosofia risolutiva di Pace Universale, in Id, Infinite scintille di Pace, http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=891150; Idem su «Atrium– Studi Metafisici e Umanistici », XV/2 (2013), pp. 86-110]

3 – TEOLOGIA

DIMOSTRAZIONE DELL’ESISTENZA DI DIO:

Si riprende l’argomento per cui se esiste l’Imperfetto a maggior ragione deve esistere il Perfetto e lo si riconosce come l’inversione dell’argomento di Anselmo d’Aosta.

Non solo: non esistono argomenti filosofici contro l’esistenza di Dio, ma ne esistono diversi a favore; ebbene, questa differnza ha valore ontologico, per cui Dio esiste.

Gli approfondimenti – condotti partendo dal Parmenide di Giovanni Reale per arrivare ai giorni nostri passando attraverso il genio sottovalutato di Leibnitz – restituiscono alla teologia del Cristianesimo non solo la veste di una religione assolutamente compiuta e dotata della “maggiore densità di significato coerente” rispetto ad ogni altra, ma pure di un sistema di pensiero perfettamente compatibile con il “Dio dei Filosofi”.

[Manuguerra, M. Sul Dio dei Filosofi: elementi di Teologia Razionale tra Logos, Matematica e Gnosi, su «Atrium – Studi Metafisici e Umanistici », XI/1 (2010), pp. 7-27]